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Jean Raspail – Il Campo dei Santi

18/11/2012

Scritto nel 1973 dal romanziere francese Jean Raspail, “Il Campo dei Santi” è un libro unico nel suo genere, assolutamente “scandaloso” rispetto ai falsi dogmi dell’ideologia liberal-marxista e sicuramente irrepetibile dal punto di vista di una tecnica letteraria che, per potenza narrativa e per l’incedere visionario, trova pochi eguali nel suo genere.Il libro immagina l’odissea di un’immensa folla di paria e reietti provenienti dal Gange che, per mezzo di malfermi e malridotti battelli, si riversa in modo pacifico ma invasivo sulle coste meridionali della Francia il lunedì di Pasqua del 1997.Guidata da un personaggio carismatico, soprannominato non a caso il “coprofago”, “l’armata dell’ultima chance”-come viene subito ribattezzata-può godere dell’incondizionato ed entusiastico sostegno di una coorte numerosa formata da politici, intellettuali radical-chic, autorità ecclesiastiche imbevute di terzomondismo, attivamente impegnati nell’approntare il nuovo mondo multirazziale che si verrà a creare attraverso la fusione della civiltà europea con quella dei nuovi venuti.Il tema centrale del romanzo è rappresentato dall’attesa di questo incontro-scontro di culture così incompatibili da cui nascerà una società multietnica e multirazziale.In tale frangente la civiltà occidentale si trova in una situazione di disarmo morale dal momento che “il suo dio carnale e materiale” è morto e che “l’antica Fede(quella autenticamente cattolica)rimanda solo il pallido riflesso di una società vuota e senz’anima, un simulacro privo di senso”.In ciò Raspail sembra anticipare la devastante crisi dottrinale e dogmatica che ha investito vasti e importanti settori della Chiesa post-conciliare laddove la teologia si è degradata a sociologia e i sacerdoti officianti il Culto si sono trasformati in assistenti sociali, o peggio, in agitatori politici. “Il Campo dei Santi” si dispiega, nella presentazione dei personaggi, seguendo una linea narrativa che si fonda su di una struttura policentrica. Da questo punto di vista non esiste un protagonista principale nella misura in cui il filo conduttore del romanzo viene ad essere incarnato dal crollo della società europea a vantaggio di un nuovo ordine fondato sui valori della multirazzialità e del meticciato. Questo approdo è entusiasticamente agognato dai vari intellettuali e politici che vedono in ciò l’espiazione dell’”uomo bianco” nei confronti del terzo mondo in ordine agli orrendi crimini di cui si sarebbe macchiata la cultura occidentale(colonialismo, razzismo, sfruttamento degli indigeni…). Esemplare, in questo senso, il ruolo svolto nel libro dal domenicano padre Agnellu: pur assolvendo a una funzione “minore”, infatti, egli esemplifica magistralmente il prototipo del sacerdote “progressista” impegnato nel “sociale”, con un evidente riferimento alla vicenda- reale- che ha visto il più importante teorico brasiliano della “teologia della liberazione” approdare recentemente allo pseudomisticismo new age. Dall’altra parte “l’armata dell’ultima chance” non “manca di una sua altera dignità” come ci fa notare Fabrizio Sandrelli nella postfazione. “Alla carità malriposta degli apostoli dell’accoglienza” essa reagisce con disprezzo e  indifferenza rifiutando ogni soccorso da parte dell’ “uomo bianco”.La turba del Gange, a differenza di un’Europa ormai esausta nel suo materialismo più demenziale, sprigiona una vitalità etnica(frutto di una riproduzione biologica a livelli inimmaginabili per l’Europa)scevra da sensi di colpa o da sentimenti etnomasochisti in relazione alla sua ferrea volontà di radicamento e di colonizzazione in terra europea. Di fronte a questo atteggiamento le autorità e l’opinione pubblica occidentali si mostrano imbelli, remissive, titubanti quando non apertamente sostenitrici rispetto all’invasione in atto. Esemplare, in quest’ottica, il personaggio di Jean Orelle che riveste il ruolo dell’intellettuale organico fautore della solidarietà e dell’accoglienza a livello mondiale quanto accanito e implacabile accusatore della società “occidentale”, “sfruttatrice”, “razzista” e “imperialista”.Questa sua posizione ideologica non gli impedirà tuttavia, allorquando gli eventi precipiteranno, di tentare una fuga disperata quanto vana verso la Svizzera dove sostanziosi conti bancari-frutto meritato di un’esistenza spesa, a parole, a favore dei poveri, degli ultimi e dei derelitti-saranno in grado di offrirgli il giusto conforto.Il romanzo termina con la caduta della civiltà occidentale che l’autore paragona a quella di Costantinopoli, esempio quest’ultimo di una ricorrente e insistita simbologia metaforica che innerva la struttura della narrazione esaltandone l’inquietante afflato profetico e visionario.Lo stesso titolo, “Il Campo dei Santi” , richiama il brano dell’Apocalisse di Giovanni(cap.20, 7-9)laddove “la città diletta” simboleggia l’Europa mentre Mog e Magog (le forze del Male) gli invasori che l’assediano. A differenza da quanto profetizzato da Giovanni, tuttavia, “non vi sarà alcun fuoco soprannaturale che scenderà a distruggere gli assedianti”.La sorte del Campo dei Santi è ormai segnata.Ignorato dalla “grande” editoria italiana, questo romanzo giunge al lettore di casa nostra grazie al coraggio- culturale e civile -della raffinata casa editrice “Edizioni di Ar”impegnata, da anni, a promuovere testi e idee non conformiste e sicuramente “altre” rispetto all’ideologia di una modernità che vuole essere onnipotente e onnicomprensiva. Accolto, alla sua uscita, da un grande successo in Europa e negli Stati Uniti, il libro di Raspail diventò ben presto un “caso” letterario registrando accuse, demonizzazioni e omertosi silenzi. Ottenne, tuttavia, positive recensioni da parte di autorevoli riviste come il “Time” e il “Wall Street Journal” che lo definì come “la visione più atroce della razza umana sin dai tempi del quarto viaggio di Lemuel Gulliver”mentre “Il Sole 24ore” attribuì al romanzo di Raspail “il potere di scuotere le nostre certezze sin dalle fondamenta”.Più volte paragonato ai grandi classici della distopìa contemporanea quali “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley e “1984” di George Orwell, “Il Campo dei Santi” mantiene tuttavia una sua fisionomia socio-storica e antropologica di irripetibile originalità e di non facile classificazione a conferma di una natura poliforme e polisemica che lo pone ai vertici della migliore produzione letteraria europea del novecento.

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